Lunedì, 16 Agosto 2010 13:12

Sassi nello stagno dalla CEI e Famiglia cristiana

Scritto da  Gerardo

"I recenti richiami della Conferenza episcopale italiana sulla deriva etica del nostro paese sul piano personale e sociale e sulla mancanza di un classe politica adeguata, insieme agli editoriali di <> sulla stessa lunghezza d’onda, come sassi nello stagno o nella palude che dir si voglia, inducono qualche riflessione ulteriore non meramente politologica su aspetti che sono culturali ed etici ma non ininfluenti nella vita pubblica."
Domenico Pizzuti ci manda un pensiero ferragostano, dal titolo "Sassi nello stagno dalla CEI e Famiglia cristiana".
Buona Lettura!


I recenti richiami della Conferenza episcopale italiana sulla deriva etica del nostro paese sul piano personale e sociale e sulla mancanza di un classe politica adeguata, insieme agli editoriali di <> sulla stessa lunghezza d’onda, come sassi nello stagno o nella palude che dir si voglia, inducono qualche riflessione ulteriore non meramente politologica su aspetti che sono culturali ed etici ma non ininfluenti nella vita pubblica.

In primo luogo, ci si può domandare se questi avvertimenti pertinenti non siano in ritardo rispetto all’evolversi di dinamiche non solo politiche ma soprattutto sociali e culturali quando il danno è già stato fatto, con l’“individualismo immorale” dell’era berlusconiana, e <> denunciata da <>. Non è facile il compito della Chiesa-istituzione in Italia, stretta come in una tenaglia tra la “questione settentrionale” con un federalismo <> ed una persistente “questione meridionale” che non è più nell’agenda politica e della pubblica opinione, sulla quale all’inizio di quest’anno è ritornata la Conferenza episcopale italiana con il documento <> che ha avuto scarsa risonanza per l’acceso clima elettorale del momento. Senza disattendere il “compromesso” Stato-Chiesa in Italia, da cui trae vantaggi. Al di là di puntuali documenti ecclesiali sia pontifici sia episcopali sulle questioni sociali ed etiche del nostro paese che interessano la scena pubblica, ci si può interrogare quali ricadute ed attuazioni abbiano questi interventi nella vita della chiesa, come risorsa per un rinnovamento etico e sociale del paese. Cioè come fecondino o meno la religiosità vissuta o celebrata dalle comunità cristiane del paese e coinvolgano uomini che hanno a cuore il bene comune.

Abbiamo già osservato in altra sede – in occasione degli scandali sessuali che hanno travolto chiese di paesi nord-occidentali - la mancanza di una vera e propria opinione pubblica ecclesiale, cioè un’ afasia da parte delle varie componenti della chiesa, che intervenga responsabilmente non solo sulle questioni interne alla vita della chiesa, ma sulle quelle che interessano la vita del paese e delle regioni di appartenenza. Senza sottovalutare il contributo alla discussione di riviste cattoliche di diffusione nazionale, anche se andrebbe verificato quello della miriade di settimanali cattolici a raggio diocesano. Ma l’attenzione si porta poi sulla religiosità vissuta dalle comunità cristiane di carattere prevalentemente celebrativo e sacramentale, e sociale nelle diverse regioni del paese, sulle modalità espressive ed emozionali di movimenti e gruppi che coltivano le proprie nicchie, ma anche sull’impegno educativo di associazioni giovanili che forse non fanno rumore. I problemi del territorio non sempre varcano le soglie delle chiese e trovano attenzione e discussione: riproponendo la cesura tra culto e vita sociale che lascia liberi i manovratori di turno, tra fede e cultura che angosciava Paolo VI, anche se va riaffermata l’autonomia delle diverse sfere sociali.

In vista di un urgente ed indilazionabile rinnovamento sociale ed etico, performativo e non solo retorico, che assume i caratteri di una vera e propria ricostruzione dei legami che stringono in società, dove e come ricostituire le basi di un etica pubblica condivisa che attesti il bene comune o gli interessi generali, al di là di <> diffusa come ha titolato “Famiglia cristiana”? Si richiedono certo “imprenditori morali”, secondo il linguaggio sociologico, che si facciano carico di mobilitazione per una moralità collettiva che è a vantaggio di tutti. Ma soprattutto esperienze forti di cura del bene dell’altro e di quello generale, percorsi formativi miranti a promuovere capitale sociale incrementale. Cioè un etica della responsabilità che non riguarda solo i politici di turno ma i cittadini di una comunità di uomini liberi ed eguali, e comprenda capacità di governo della complessità della vita della polis.

Napoli, 12 agosto 2010

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